Smart working sì, smart working no: il tema è caldo anche in questi giorni ma sicuramente, durante la pandemia, il “lavoro agile” è arrivato come una manna che ha salvato tante aziende e posti di lavoro aiutando, anche, a dare quella spinta tecnologica che mancava in quasi tutti i settori produttivi.
Secondo dati Eurispes, Australia, Francia e Regno Unito, nel 2020, hanno raggiunto percentuali di lavoratori in smart working del 47%: praticamente un dipendente su due ha lavorato da casa. In Francia lo smart working è aumentato del 25% rispetto a prima della pandemia mentre in Italia, ahimé fanalino di coda tecnologico, siamo arrivati al 9% dei dipendenti con il telelavoro a marzo-aprile 2020, compiendo comunque un significativo balzo in avanti rispetto a pochi mesi prima.
Non è andato tutto bene con il Covid-19, e non ne siamo ancora usciti, ma lo smart working ha mostrato un lato del lavoro che era sotto gli occhi di tutti: ha sfacciatamente indicato, come un Khaby Lame dallo sguardo attonito e le mani volte verso l’ovvietà, che un lavoro che si svolge principalmente davanti a uno schermo non necessita, almeno ogni giorno, di un ufficio.
Abbiamo finalmente visto un Re che era nudo, ed era nudo per pigrizia, — vedi alla voce mancata innovazione tecnologica — o per una mania del controllo di stampo fordista, dove il “capo” vuole vedere, de visu, i propri dipendenti che lavorano sodo, scorgendo nella comodità del lavoratore a casa sua un inevitabile indice di produttività ridotta, quasi un furto di buona parte dello stipendio.
Sappiamo che non è così perché i dati sui benefici dello smart working non si contano, sia in fatto di produttività che per la soddisfazione del dipendente. Con lo smart working si risparmiano tempo e denaro e l’azienda stessa può ottenere un risparmio in fatto di utenze e affitti. Alcuni considerano persino l’idea del south working, ovvero, il trasferimento in una splendida località di mare del sud per vivere e lavorare in luoghi nei quali, se va bene, ci si reca una settimana all’anno in vacanza, anche se questo progetto non ha ancora raggiunto numeri importanti. Un interessante studio dell’Atlantic ha inoltre mostrato come lo smart working aiuti i dipendenti con figli e permetta maggior occupazione femminile e un bilanciamento ottimale della vita lavorativa e familiare.
Nuove modalità di lavoro per la nuova normalità
Eppure, c’è già chi fa dietrofront con decisione, come se la “pacchia” fosse finita e andassero prese misure di difesa e adeguamento al telelavoro: si parla di riduzione degli stipendi per chi lavora da remoto, mentre il Ministro Brunetta ha già intimato ai dipendenti pubblici un ritorno al più presto in ufficio. Persino Google ha annunciato un piano per adeguare lo stipendio in base al luogo di lavoro: più la zona in cui il dipendente da remoto è economica, meno percentuale gli arriverà di stipendio. Questa pianificazione, già allo studio anche da altri giganti come Facebook e Twitter, ha creato molto malumore perché contiene in sé una discrepanza non da poco: sembra non contare più quanto valore porti un lavoratore all’azienda, ma quanto costi sostituirlo nel luogo in cui si trova.
Se da un lato, quindi, trasferendosi in un paese di provincia la vita costerebbe meno rispetto a quella in una grossa città, con i prezzi degli immobili alle stelle, con una riduzione dello stipendio ci sarebbe un risvolto economico da considerare nella decisione. Le sacche di resistenza verso lo smart working sembrano subire anche il fallimento della DAD, la didattica a distanza, che è riuscita così male a sopperire alla mancanza di contatto fisico e mentale diretto, caratteristiche fondamentali quando si parla di formazione di bambini e adolescenti.
I lavoratori sembrano però non voler tornare indietro: un sondaggio di Pollfish ha svelato che il 65% di chi ha provato lo smart working rinuncerebbe al 5% dello stipendio pur di continuare a farlo mentre il 15% accetterebbe addirittura un emolumento ridotto anche del 25% della busta paga.
La situazione sembra quindi intricata tra sostenitori e detrattori. Ma i modelli vincenti esistono, e le grandi aziende più digitalizzate li hanno già adottati da ben prima della pandemia: c’è, ad esempio, lo smart working a rotazione, con il 50% di personale a casa e il restante in ufficio, o lo smart working “part-time”, che vede l’utilizzo di questa formula solo alcuni giorni a settimana. Soluzioni del genere non possono che mettere d’accordo aziende e dipendenti, visto che eliminano le scelte più radicali e poco sostenibili, consentendo vantaggi notevoli di tempo e di costi da entrambe le parti.
Arrivano gli Extra Smart Workers!
Anche Extra Group, la nostra azienda, che occupa grandi uffici per contenere oltre 150 persone, ha cercato una soluzione ottimale per introdurre lo smart working, conscia dei suoi benefici in termini di work-life balance. Al primo segnale di difficoltà, in Extra Group il lavoro da remoto ha cominciato senza intoppi e continuerà ad esistere, affiancato dalla presenza in ufficio, come ha spiegato direttamente il Presidente del CdA Leonardo Paolino: “lo smart working resterà, almeno per noi, dopo che questo momento difficile sarà passato, anche se riconosciamo che l’interazione fisica genera valore nelle relazioni umane quanto in quelle professionali. Ci impegneremo a creare le condizioni affinché le nostre persone possano lavorare da casa almeno per il 40% del tempo, supportandoli in un bilanciamento lavoro-famiglia che renda loro la vita più semplice.”
In tutta Europa si prevede un aumento dello smart working entro i prossimi anni ma, di certo, questo non sostituirà del tutto la presenza in ufficio: ne diventerà piuttosto un valido alleato che, sempre più, cambierà il modo di lavorare e di vivere che avevamo, ancora troppo ancorato ad un architrave professionale che non è più da molto tempo quello di una società industriale. Con la diminuzione del digital divide, lo smart working rappresenta solo un tassello di un processo globale ormai in corso che sta ridefinendo tutto il mondo del lavoro con intelligenza artificiale, servitization, cloud e big data, rendendo fluidi i luoghi di vita e di lavoro. Un passo avanti significativo, che dovremo trasformare noi stessi in un progresso.
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